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Musician girls do it better

Tempo di lettura: 3 min.

#Marginalia dodici

Le brave ragazze vanno in paradiso. Quelle cattive, dappertutto… e per fortuna, alle volte, finiscono su un palco.
Dimenticate – per un attimo, in questo ultimo sabato di Settembre – che le donne siano solo le principali destinatarie di grandi testi d’amore, le dedicatarie di struggenti ballate, le accompagnatrici di qualche baldo musicista.
Alle volte, dicevamo – anche se i tempi non sono sempre maturi – si arrogano il sacrosanto diritto di essere delle star.
D’altronde a #marginalia (ormai lo sapete) piace raccontare quello che non vi aspettereste!

Julia Lee & Her Boyfriends, 1947

Qualcuno potrebbe dire che il dirty blues non è roba da femmine. Qualcun’altro, subito, aggiungerebbe che doppi sensi e tabù non si confanno ad una signorina degli anni ’30.
Beh, menomale che di questi stereotipi, a Julia Lee, non è mai fregato niente. Amava dire che cantava “le canzoni che sua madre le aveva insegnato a non cantare”, quelle oscene e quasi sfacciate, per il bigotto gusto dell’epoca. Ma che di gusto, in realtà, ne hanno da vendere.

Nata e cresciuta in Missouri, figlia amatissima della Capital Records, Julia Lee (1902 – 1958) ha intrapreso la sua carriera nei ruggenti anni Venti, all’inizio a fianco al fratello George, in una band che, per qualche tempo, ha giovato addirittura della presenza di Charlie Parker.
Nel 1935, però, qualcosa è cambiato: la chimera della carriera solista sembrava irraggiungibile… eppure la Lee, con pianoforte al seguito, ha avuto in sorte di diventare un’icona.

Questo singolo è rimasto in vetta alle classifiche R&B per ben 9 settimane nel 1948… e non era certo la prima volta che la nostra Julia lanciava una bomba nel mondo musicale. Una delle hit precedenti, Snatch and grab it, l’anno prima, aveva cavalcato la cresta dell’onda per 12 settimane consecutive

Titoli e testi audaci, come “I Didn’t Like It The First Time (The Spinach Song)” e “My Man Stands Out”, avevano costituito fin da subito il marchio distintivo di questa grandiosa pianista.
Perfino il nome della band di accompagnamento, Her boyfriends, alludeva ad una promiscuità sessuale mal tollerata dai benpensanti dell’epoca, ma era così avanguardistico e così coraggioso da dar inizio ad una nuova concezione dell’essere un* musicista al femminile.

Il mondo è maschio, per la maggior parte dei casi, lo dice la parola stessa. Il genere femminile, specie qualche decennio addietro, ha spesso patito lo scotto di essere protagonista subalterno e secondario delle vicende musicali, cedendo il passo ai bellissimi e bravissimi maestri del jet set e dei palcoscenici.

L’eco dell’esperienza della Lee, però, foriera di tanta ironia rivoluzionaria e libertaria, non è di certo rimasta inascoltata, costituendo una tappa significativa nell’arduo processo per il riconoscimento del valore musicale ed artistico delle donne.
Soubrette, coriste, musiciste di fila o pubblico al di là degli spalti, cantanti nella migliore delle ipotesi… ma musiciste dal talento ineguagliabile, contornate da una schiera di “boyfriends” al loro servizio, questa sì che era una rarità per gli anni ’30 e ’40. E ancor’oggi, per certi versi.

You’ll lose a good thing di Barbara Lynn scala le classifiche R&B nel 1962, configurandosi come una prosecuzione ideologica e d’intenti della potenza della Lee di quasi un trentennio prima

Nei primi anni ’60, però, la chitarrista Barbara Lynn (1942) sembra condividere con Julia Lee, a distanza di più di 20 anni, quella verve e quella fame di rivalsa, che le musiciste donne sembrano dover conquistare senza chiedere permesso, entrando a gamba tesa a suon di scale di pianoforte e spinte sull’amplificatore.
Texana, tournista per artisti del calibro di Jackie Wilson, Sam Cooke, James Brown, Marvin Gaye, B.B. King, Stevie Wonder (solo per citarne alcuni), la Lynn non si potrebbe descrivere meglio se non con il titolo del documentario realizzato su di lei nel 2015: “I AM THE BLUES”.

Una carriera costellata di successi pazzeschi, come musicista come cantante come artista a tutto tondo, culminata con l’essere insignita del National Heritage Fellowship, un prestigioso premio statunitense conferito a coloro i quali vengono ritenuti degni di aver contribuito alla formazione ed alla magnificenza della cultura artistica e popolare.

Non sembra anche a voi che Julia e Barbara abbiano qualcosa di magico e innovativo in comune? I cognomi e i destini sono parecchio assonanti, a ben vedere.
Senza paura senza vergogna, si sono fatte strada a suon (nel vero senso della parola) di sacrifici e fiducia che le cose potessero cambiare.
E le cose non cambiano con le lamentele e i piagnistei, le cose cambiano quando ti corci le maniche e non ti dai per vinta finché non sono cambiate.

Perciò… in nome di tutte le musiciste, in nome di tutte le donne, in nome di tutti gli uomini che non si sentono minacciati bensì lusingati dalla bravura della loro controparte femminile: THANK YOU, MUSICIAN GIRLS DO IT BETTER!

Baci velenosi e femminili,
Vanì Venom

Vanì Venom

Vanì Venom è l’alter-ego, a metà tra il letterario e il rocker, di Vanina Pizii, una giovane professoressa di Lettere appassionata di musica anni ’40 ’50 e ’60 e di tutto ciò che concerne il lifestyle legato al mondo vintage: dischi, foto, abiti, libri, arredi, auto e chi più ne ha più ne metta!