Jimmy Wages aka come non essere “pop” nei 50s
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#Marginalia trentanove
La Storia la scrivono i vincitori, non c’è niente da fare.
Le star diventano tali perché sono popolari, conosciute, amate: troneggiano sui cartelloni pubblicitari, spiccano come headliner nei concerti, sono osannate in ogni dove ed in tutte le epoche. E mentre i divi percorrono la strada lastricata di notorietà, qualcuno rimane sempre indietro.
Meno bravi? Poco carismatici? Privi di originalità? No, non è solo questo. Il successo è un denso insieme di fattori, moltiplicati per la più grande variabile di tutti i tempi: il Caso.
Jimmy Wages, aka “come non essere pop nei 50s”, è stato una meteora e non ha neppure brillato così tanto come avrebbe meritato… ma non ne ha fatto un dramma!
Nell’olimpo di chi suonava per la stella più vicina e luminosa di tutte, la Sun, non è riuscito a diventare un Nome. Tuttavia – ormai avete imparato a conoscerci – a noi piacciono le note a margine. La grande Storia l’ha già scritta qualcun altro.
From Tupelo to Memphis
Sono andati a pescarlo fin dentro casa sua, aspettando che tornasse da uno dei soliti giri con la Cadillac beige che amava tanto, pur di ascoltare la sua storia, quasi sconosciuta. Era il 1983 e Jimmy Wages rilasciava una delle poche interviste che lo vedono protagonista.
Nato a Tupelo nel 1935, arriva a Memphis nel ’56 grazie alle conterranee Miller Sisters, che lo introducono alla già famosa Sun Records. L’allora produttore Jack Clement, però, comprende subito che si tratta di un artista “poco ortodosso”: la sua è musica da estremo sud, infarcita di blues e di hillbilly, con testi dal sapore quasi religioso e country, per certi aspetti.
Wages suonava il piano e la chitarra ritmica, ma spesso cantava e basta… tutto rigorosamente scritto da lui, s’intende.
Accompagnato in qualche session da musicisti già consolidati della Sun, come Van Eaton alla batteria e Ray Harris alla chitarra solista, i suoi i pezzi sono rimasti delle demo per più di 20 lunghi anni: Clement ci leggeva troppa onestà, troppi conflitti, troppa poca vendibilità. Dicono bene Colin Escott e Hank Davis, in quell’intervista dell’83:
In un mondo di star è difficile brillare
Al tempo di Roy Orbison alla Sun e di Ray Harris alla Hi Records, Jimmy Wages ha registrato al fianco di artisti come Jerry Lee Lewis e Charlie Rich, mantenendo sempre indomata la sua anima poco “pop”, poco “mainstream” per i 50s.
Lo hanno definito un genio grezzo, un vero primitivo musicale e forse è questo il motivo per cui, anche quando il rockabilly sfiorava l’apice della notorietà, i suoi brani non sono mai passati in radio. Solo decenni dopo alcune delle sue incisioni si sono fatte strada nelle jukebox series della Norton Records di NYC.
Che peccato… il sound sarà pure poco “pop” per quel decennio, però che originalità!
Il problema non è il problema, ma il tuo atteggiamento rispetto al problema… no? Forse l’ironia e l’autoironia hanno il potere di salvare da molte delusioni, se debitamente cullate dal tempo.
A tutti quelli che c’hanno provato, non ce l’hanno fatta, ma l’hanno presa con filosofia: la storia la scrivono i vincitori, ma chi lo dice che essere pop valga più che essere se stessi? Io sto con Jimmy: non si può arrivare primi in ogni gara, alle volte bisogna anche saper perdere con stile.
Baci velenosi e poco “pop”,
Vanì Venom