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Tre wild boys dal cuore di panna

Tempo di lettura: 4 min.

#Marginalia sei

C’è stato un tempo in cui l’Italia andava a 45 giri. Veloce come un twist e ritmata come un rock ‘n’ roll. A quel tempo i padri vecchio stampo, innamorati delle loro principesse ormai non più bambine, spiavano sull’uscio – con il severo orologio al polso – il rincasare pattuito con gli aspiranti generi.

A quel tempo gli stessi futuri generi, impomatati di brillantina e paventanti buone intenzioni, promettevano serietà e rispetto, celando la propria vena ribelle dietro un sorriso di circostanza. A quel tempo – Celentano lo spiega meglio di chiunque altro – quando l’unico contatto concesso allo sguardo altrui era un ballo scatenato, la felicità costava solo un gettone, per i ragazzi del juke-box.

La gioventù / La compra per cinquanta lire / E nulla più / Basta un dolce blues / E una canzone / Per i ragazzi del juke box / Ballando qua / Ballando là / Ognuno trova la sua gran felicità.”

“In un gettone c’era l’ossessione dei ragazzi del juke-box”, magistralmente raccontata nell’omonimo film musicarello di Luigi Fulci (1959). Incassi record – quasi 450 milioni di lire – ed un cast stellare, suggellano il tramonto della musica leggera e l’alba degli urlatori. I rockers, nel mondo anglosassone, avevano da poco – e a fatica – conquistato il loro statuto di sottocultura, guadagnandosi il nome con il quale ancor’oggi si identificano. In Italia – paese dalla tradizione musicale e cantautoriale ben più pacata e conservatrice – la stroncatura da parte della critica, sul finire dei ’50, non si è fatta attendere.

Agli urlatori veniva imputato un immeritato crimine: non cantavano nei microfoni, come i Buscaglione di un tempo, essi gridavano, senza grazia e senza garbo. Ah, che disguido imperdonabile: i benpensanti, dai timpani fragili e dalla penna avvelenata, non avevano ancora ben inteso cosa significasse davvero quel mistero pericoloso e travolgente chiamato rock ‘n’ roll.

Il maestro Fred, invece – sebbene non più di primo pelo – l’aveva capito in un battibaleno, a differenza dei suoi “sordi” sostenitori: non ci sono bpm che tengano, il r’n’r è una scelta di vita, una comunione d’intenti e di sensazioni, un ritmo molto più viscerale delle diatribe sulla mera capacità canora!

Così, l’immenso swing-man impartisce una lezione di stile agli obsoleti calunniatori della novità, lanciando una bomba sonora tutta italiana, che ha scosso le coscienze stantie ancor prima che esse imparassero a scuotere i fianchi.

Il #pezzaccio è del ’59 ma – quasi un monito per i posteri – viene inciso da CETRA nell’aprile del ’60, qualche mese dopo la scomparsa dell’insostituibile Fred

Bisogna rifuggire – s’è cercato di spiegare – dalle facili categorizzazioni. Nella musica, nel variegato panorama subculturale, negli stili e – perché no – nella vita in genere, costringere le multiformi espressioni di un medesimo sentire entro un’etichetta, sterile e stantia, limita certamente la comprensione di un fenomeno e, non di meno, ne appiattisce la bellezza, standardizzando la varietà.

È ciò che accade spesso con i nostrani wild boys, ragazzacci innamorati dei juke-box, pulsanti di ribellione e dall’indole irrequieta, costretti entro lo stereotipo del bellimbusto “brillantinato” e scansafatiche.

Iconica scena dal film “Poveri ma Belli”, diretto da Dino Risi e uscito nelle sale nel Gennaio del 1957

Al di là degli obsoleti didascalismi, esiste un tempo – in cui l’Italia andava a 45 giri – nel quale il sofisticato Fred Buscaglione, il molleggiato Adriano Celentano ed il poliedrico Clem Sacco, erano tre wild boys dal cuore di panna, ciascuno a suo modo però. Segni particolari di affinità: una avanguardistica visione del mondo, l’amore per la musica, la passione per le donne. L’essenza del r’n’r, per farla breve.

Il più inconsueto e visionario dei tre, al secolo Clemente, tutto è stato tranne che degno del proprio appellativo di battesimo, declinando le movenze rockeggianti e innovative condivise con gli atri due, in una chiave ironico-demenziale dalle tinte a dir poco geniali. Una cosa, tuttavia, è certa: selvaggi gentiluomini con un groove simile non ne fanno più!

Troppo avanti e troppo audace per il 1963, questo brano (come altri del cantautore di origine egiziana, uno per tutti Il deficiente) non riscosse un gran successo e Clem Sacco, per parecchi anni, sparì dalle scene

Amori folli e balli sfrenati: gli unici imperativi a cui questi ragazzacci obbedivano ciecamente. E, come loro, molti altri… ammirati e incuriositi da un nuovo mondo che, in Italia, si stava facendo strada attraverso vecchi pregiudizi e qualche remora morale.

C’è stato un tempo, meraviglioso, in cui il Bel Paese non era pronto ad accantonare la placida tranquillità e a dar spazio a travolgenti passioni, suonate col diavolo del r’n’r in corpo.

A quel tempo i genitori erano severi, le figlie bellissime e i pretendenti scatenati. Non c’era spazio per questi ragazzacci tutti brillantina e giacche di pelle: la nazione non era pronta e, probabilmente, non avrebbe mai imparato ad amare la loro verve, un po’ selvaggia un po’ galante.

Allora, senza chiedere permesso, i wild boys trovarono da soli la strada maestra: il solco dei 45 giri era il sentiero sul quale la rivoluzione musicale procedeva spavalda e coraggiosa.

Baci velenosi (alla panna),
Vanì Venom

Vanì Venom

Vanì Venom è l’alter-ego, a metà tra il letterario e il rocker, di Vanina Pizii, una giovane professoressa di Lettere appassionata di musica anni ’40 ’50 e ’60 e di tutto ciò che concerne il lifestyle legato al mondo vintage: dischi, foto, abiti, libri, arredi, auto e chi più ne ha più ne metta!

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